Roba da /dev/null... Ovvero: delirii su vita, informatica ed altro

Un incontro nel Ciberspazio

Non sono sicura di essere la persona più adatta per scrivere tale storia. Certo, ho scribacchiato un pò... Una storiella di amore per una rivista di ragazzine, ma anche ragazzini!, svampite che avevano soprattutto un disperato bisogno di una sana educazione sessuale fatta come si deve, altro che vestiti e make-up, una storia di Star Trek scritta un pò per giorno, nel bagno ed in inglese, e poi rimasta nel cassetto perché mi vergognavo (e mi vergogno tuttora). Non è questo che decide che io sono una "scrittrice". Però poi ho pensato che, se non la racconto io, non posso aspettarmi o essere sicura che a raccontarla ci pensi lui. Sì... un "lui". Chi è? che fa? dove vive? E io? Chi sono? cosa faccio? dove vivo? È meglio se agli occhi di voi rimaniamo persone astratte, immateriali e senza una precisa identità. In questo la struttura dell'italiano purtroppo non ci aiuta. Non possiamo riferire a noi stessi senza dover usare il genere. Già ci conoscete. Ci conoscete grazie all'altrettanto immateriale Ciberspazio. Avete letto i nostri articoli, le nostre flames, tutto quello che due esseri trasparenti, magari di un vago color verdino, hanno appeso su una immateriale tavola in sughero sospesa nel niente. Da quelli potete un pò capire chi siamo e così via. Ma non prenderemo mai forma, non troverete mai una fotografia di noi. Siamo come Tristano ed Isotta, almeno così credo (e vorrei credere).

Ci siamo conosciuti tramite le newsgroups, lui è entrato nella mia newsgroup preferita e ci si è trovato subito a suo agio, come se fosse seduto su un comodo divano nel salotto di casa mia. Io sulle prime sono rimasta un pò sorpresa. Sorpresa che non si fosse mai fatto vivo prima, sorpresa che tutti siano sorpresi come me. Poi ho pensato che era simpatico. In generale, quando mi trovo in mezzo a gente che per vari motivi ha un tipo di cultura molto diversa dalla mia (che mi sono modellata a modo mio, grazie!!!!), un pò mi sento intimidita e sto quieta a leggere, leggere e magari anche a pulirmi il naso, sbadigliando, tanto sono immateriale, chi mai si prende la pena di vedermi realmente? Ogni tanto dò in giro qualche gomitata, specialmente a chi fa troppo l'altezzoso o lo stronzo, per far vedere che il poltergeist è ancora lì. Lui, anche se era diverso da me, non era però come gli altri intorno alla tabella in sughero. E mi sembra che forse mi vedeva più in fondo già allora. Ma non so, ancora non so. Insomma, a un certo punto ho cambiato posto. Sono scesa dalla sedia un pò troppo bassina per me, la spilungona della "3B, tre volte campioni di pallavolo" e mi sono andata ad sedere su uno di quei sgabelli senza schienale, alti, alti tipo quelli ai pub inglesi oppure tipo quelli che si usano in classe di disegno dal vero, ma più comodo. E il panorama davanti, sopra sotto destra sinistra e dietro, a me si fece più ampio, più cristallino, anche se il colore era sempre quello verdino che non so ancora se mi fa tenerezza o tristezza.

Nel nuovo panorama, potevo vedere molti altri divani, altre tavole di sughero sospese nel nulla. Alcune cadevano a terra, silenziosamente, senza nessuno intorno. Ma altre crescevano, erano come querce. Alcune piangevano nel niente perché erano nude di messaggi, di fogliettini gialli immateriali, ed avevano freddo. Altre invece dovevano scuotersi come i cagnoni pelosi pelosi, ché erano piene di fogliettini, fogli, foglie, posters, cartoline da piegarsi per il peso. E queste immateriali comunicazioni volavano via, si perdevano in aria come la carta bruciata in un falò. A qualche distanza vedo un tabellone dove le persone erano sempre le stesse, andavano e venivano via, ma sempre le stesse erano. Erano strani. Urlavano, ridevano, litigavano, ma sempre avevano come un'ombra di sorriso che proprio non voleva scrollarsi via. Un pò mi ricordano la mia famiglia, dove, se "sentivo" silenzio (ma davvero si può sentire sul serio???), mi preoccupavo e correvo dai miei parenti chiedendo "che succede?".

Un giorno ero troppo annoiata. Si stava sempre a parlare delle stesse cose, io iniziavo a rompermi le scatole all'idea di dover di nuovo dire le stesse flames per farli smettere. Mi guardo intorno per vedere se qualcuno mi stava guardando, con l'intenzione di grattarmi l'interno dell'orecchio destro. I miei occhi si fermarono poi su quell'altro gruppo di persone, che erano un'altra newsgroup, e ci trovo lui. Penso, ah, ma pure lui si sta scocciando... Però guardo meglio e mi rendo conto che non è lì per la noia, anzi, se ne stava lì stravaccato su un altro divano metaforico. Un pò mi sono sentita gelosa, invidiosetta. Mi sono fumata una sigaretta (i cartelli "vietato fumare" c'erano pure lì, ma mi bastava strappare via una dimensione che zac, era impossibile leggerli) per decidermi a non fare l'indecisa e poi mi sono incamminata verso quell'altra newsgroup. Mi insinuo nella folla, non vista, non sentita, non toccata. Mi metto a leggere i loro messaggi. Ora rido quando ci penso, ma allora me lo sentivo diversamente, ero vagamente invidiosetta. Leggevo pure i messaggi di lui. Mi piacevano e non volevo che mi piacessero. Pensavo, ma questo qui sa fare meglio di me... e poi mi sono detta, no io a questo ruolo cretino non ci sto più. Mi sò rotta di sentirmi complessata, ignorante etc.etc. Ora si cambia marcia! E decisi di sedermi su due divani, anziché ammuffire su uno solo a far da tappezzeria. Ma per questo volevo anche farmi una diversa reputazione. E decisi così di tenere due sig.files e di non mischiare i due ruoli. Di fare come Jekyll & Hyde.

Pensavo, rimuginavo, e nel frattempo cercavo di capire dove fosse il pecking order da demolire, sconvolgere. Lui stava un pò in alto nell'invisibile gerarchia sociale che gli esseri umani inevitabilmente creano. Ed io un pò già lo conoscevo anche se non ci si era mai parlati direttamente, come in un paesino siciliano. Il giorno del mio "debutto" nell'altra newsgroup decisi di mirare a lui. Gli appiccico sulla schiena un messaggio. E lui ride. Ride ed attacca nel niente un messaggio suo. Io lo leggo, spalanco gli occhi e poi rido pure io da matti. Altri leggono, ridono, rispondono, io leggo e rispondo, qualche volta incazzata sul serio, qualche volta per finta, altre volte quieta e questo un pò fa incazzare gli altri del gruppo, che rispondono a tono, dicendo di smetterla di fare la smorfiosa. Io rido, li sfotto, sfotto pure lui... e mi rendo conto ora che siamo come i ragazzi che si incontrano la sera sotto l'ingresso della scuola, chi a piedi, chi in bici e chi in motorino, per farci qualche spinello, per dire di tutto e niente, per far finta di decidere cosa fare se annà a magnà 'na pizza a San Lorenzo o se mejo annà a vederse er filme con la Kim (Basinger, non le sigarette!). E alla fine non me ne fregava più niente del pecking order, non ce n'era nessuno anche se non sembra, anche se il mio prof di sociologia dice che ci DEVE essere!

Poi un giorno, dopo aver finito di leggere e rispondere alle due newsgroup, mi è venuto così da rileggere con attenzione le risposte di lui. E mi è cresciuta dentro la voglia di parlare con lui, in tempo reale, non per email. L'ho fingerato per vedere se c'era. C'era. Ho provato a domare il dannato comando talk, ma non ci sono riuscita. Il lag era irritante, anche. E alla fine mi ero decisa a chiedergli per email, scrivendo su un fogliettino strappato dal mio quaderno di matematica e poi facendone un aeroplanino, come si potesse fare a parlarci. Un pò avevo paura che non accettasse, che non fosse realmente interessato, ma la curiosità era forte, fortissima. Ho aspettato la sua risposta con un vago senso di ansia, mi guardavo intorno per prendere al volo il suo aeroplanino, sfogliarlo e leggerlo. Finito di leggerlo, mi sono incamminata e sono andata nel mio angolino. Ho saltato alto alto, senza peso, di felicità come antigravità.

Ci siamo dati un appuntamento. Ci siamo poi incontrati. Abbiamo parlato, parlato fino a farci venire gli occhi rossi. La prima volta è sempre la prima volta: dà un brivido talmente bello che vorresti riviverlo tutti i momenti. Per motivi vari, varissimi, la conversazione si è lentamente spostata, quasi scivolata, dalle nostre vite reali (ma poi che cos'è realmente la realtà?) ad un fare all'amore virtuale. Era lento, pieno di esitazioni, quasi avessimo paura di bruciarlo troppo presto. Ma era bellissimo. Ci ha lasciati tremanti, accaldati, la mente in fiamme. Era come una droga. Io pensavo che questa era la più bella perversione che io avessi mai vissuto, che non volevo smettere. Neanche adesso vorrei smettere. Ed infatti, quando potevamo, ci incontravamo. Parlavamo anche di altro, ma quando incominciavamo a farci lo spogliarello reciproco virtuale, i preliminari, allora sì che ci sentivamo in sintonia, e non sappiamo chi per primo abbia iniziato tale thread, forse io, forse lui ma non ci frega un cavolo. Nel Ciberspazio non devi giustificarti a nessuno, non ancora, e spero mai.

Già dalla prima conversazione espressi a lui il mio desiderio di incontrarlo, ma questa volta sul piano della cosiddetta realtà. Anche lui voleva incontrarmi. E così io decisi che, quando le vacanze che mi meritavo sarebbero iniziate, in un modo o nell'altro sarei andato a trovarlo. Avremmo dovuto preoccuparci: tante volte la realtà rovinò la virtualità. Io cercavo appunto di ricordarci a noi due che non dovremmo farci troppi castelli in aria. Ma l'attrazione reciproca era intensissima, così intensa che quando non potevo comunicare con lui mi sentivo mancare l'aria, mi sentivo come se mi avessero amputato qualcosa e avrei fatto di tutto pur di rientrare nel Ciberspazio, anche rischiare le ire della realtà ottusa e ligia alle regole, agli orari. E, strano ma vero, il solo menzionare l'incontrarci nella realtà ci eccitava subito e molto, facevamo l'amore in un modo bellissimo, da estasi.

Alla fin fine mi sono decisa a prenotare il treno per la sua città. Per fortuna che stavamo ambedue nella stessa nazione. Ed ora sono qui, in un altra città ancora, isolata dal Ciberspazio, per colpa di un modem ed una linea telefonica capricciosissimi. Ieri a malapena ho potuto mandargli un aeroplanino fatto di tutta fretta e furia, prima di dover ritornare alla "realtà", in cui gli dicevo a che ora ed in quale stazione sarei arrivata, cosa avrei indossato, di modoché le possibilità che noi due elettroni ci si incontri siano migliori. Oggi non ho potuto nemmeno prendere l'onda portante. E domani sto tutto il giorno e la notte sul treno, per arrivare dopodomani. Poi non so. È qui che finisce il Ciberspazio ed inizia la realtà. Qui finisce pure la mia storia del mio Ciberspazio. Ma c'è una cosa... In un angolino del mio laptop, legati insieme da un nastrino in raso rosa, ci sono tutti i messaggi che ho scritto per lui nel corso del mio viaggio. Quando ci vedremo alla stazione, se tutto va in un modo che piace a me, io quei messaggi li riverso in un dischetto e glielo dò... dopo, prima che riparto. Non so se sono innamorata o no. Spero sia di sì sia di no.

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